Il senso della sofferenza e della guarigione nella lettera apostolica Salvifici Doloris

COMMENTO ALLA SALVIFICI DOLORIS

a cura del Dott. Francesco Bungaro

«Dei sette giorni della settimana sei sono dolore e bisogno, ed il settimo è noia »

  (Arthur Schopenhauer)

E’ doverosa una premessa per comprendere meglio il senso di questa Enciclica.

All’ inizio della Creazione i nostri progenitori, Adamo ed Eva, non facevano altro che pregare e lodare Dio, vivendo in contemplazione e la loro purezza gli permetteva di vedere Dio in ogni essere vivente e addirittura potevano godere anche della visione del Loro Creatore, faccia a faccia.

Nel paradiso terrestre conducevano una vita , come dice S. Atanasio d’Alessandria: “ Senza tristezza né dolore, né preoccupazioni

Come ci ricorda S. Agostino nella “Citta’ di Dio”, l’uomo“ non doveva temere nessuna malattia interiore: nella sua carne una perfetta salute, nella sua anima una serenità perfetta..” . Dice Simeone il nuovo teologo: “la vita era per lui senza amarezza e l’esistenza senza tristezza.”

Basilio Magno sottolinea un aspetto importante :che fatti a immagine lo siamo per creazione mentre con la volontà si forma in noi l’ essere a somiglianza di Dio.

Con il peccato originale l’uomo ha mancato lo scopo per il quale era stato creato ed ha perso la somiglianza con Dio, anche se non ha perso il fatto di essere a immagine di Dio ma questa non è stata più illuminata dall’unione attiva con Dio: è stata velata, snaturata.

La vera natura dell’ uomo è quella di conformarsi a Gesù nello Spirito, quello di essere unito a Dio, il motivo per il quale erano stati creati Adamo ed Eva.

Purtroppo con il peccato originale, ci siamo allontanati dal Bene assoluto e “a motivo del suo peccato l’uomo si vota ad ogni sorta di male, di miserie di sventure” come dice Ireneo di Lione, ed il corpo ha seguito la stessa sorte dell’anima, non per punizione di Dio ma perché la perdita , sia pure parziale del Bene assoluto ne è stata una conseguenza diretta.

Dice il Catechismo della Chiesa Cattolica :”Si tratta di un peccato che sarà trasmesso per propagazione a tutta l’umanità, cioè con la trasmissione di una natura umana privata della santità e della giustizia originali.. (CCC, 404).

Così il tema della sofferenza è diventato un tema universale che sembra essere quasi inseparabile dall’esistenza terrena dell’uomo.

Qualcuno di voi direttamente o indirettamente non è mai stato toccato dalla sofferenza ?

Pensate alla vita dell’autore di questa enciclica, Giovanni Paolo II :  nella sua esistenza da giovane perse i genitori, il fratello tanto caro, gli affetti più vicini.

Patì le sofferenze della guerra, del totalitarismo, delle persecuzioni, prima nazista e poi comunista. Uomo dei dolori, fin dall’inizio del suo Pontificato fu segnato dalla violenza delle pallottole dell’attentato, dalla malattia, dai ricoveri al Policlinico “Gemelli”, dal morbo di Parkinson . Il Papa della sofferenza ha fatto della sofferenza la via privilegiata per incontrare Dio. Ai sofferenti ha sempre guardato per primi, anzi si è sempre raccomandato ai suoi amici ammalati, perché sapeva cosa voleva dire soffrire.Come adesso Papa Francesco dice pregate per me, così Giovanni Paolo II per la sua missione si raccomandava a loro.

Negli ultimi giorni della sua vita incarna il vero valore della sofferenza: la mattina di Pasqua dell’anno scorso, quando Giovanni Paolo II si affacciò per l’ultima volta alla finestra del suo studio per la benedizione alla città di Roma e al mondo intero (4).

Era visibilmente provato. Il volto impietrito dal dolore. I movimenti lenti. Lo sguardo segnato.

Cercò di parlare. Voleva annunciare la resurrezione. Ma non ci riuscì. Dalla sua bocca non uscì parola. Il silenzio di Pietro, impotente, piegato dalla malattia e dalla sofferenza, impressionò il mondo. La forza della sua debolezza sconvolse e intenerì i cuori anche dei non credenti.

 Nel suo primo messaggio Urbi et Orbi, si rivolse ai malati, chiedendo di pregare per lui. E lo stesso giorno li visitò al policlinico Gemelli ricordando loro che, nonostante fossero deboli e malati, «erano molto potenti, così come è potente Gesù Cristo crocifisso». Erano potenti per la forza dell’ intercessione che avevano nei confronti del Padre così come Gesù che sulla Croce intercesse per tutti gli uomini.

Ricorda monsignor Dziwisz «Attraverso gli incontri con i malati Giovanni Paolo II si univa ad ogni uomo che soffre sulla terra, a tutti coloro che sono deboli, indifesi, che hanno fame… Voleva trasmettere loro anche il proprio amore ed esprimere la gratitudine della Chiesa, che vede in essi la parte scelta del popolo di Dio […] Per il Papa la sofferenza non appare come avvenimento puramente negativo, ma viene vista come una “visita di Dio”, data “per far nascere opere di amore verso il prossimo“»,

Non è infatti la sofferenza di Gesù che ci ha redenti dal male, ma il suo amore per noi, un amore giunto a dare la vita, accettando anche il calice della passione.

Al centro della redenzione non c’è il dolore ma l’amore.

Per questo “portare la croce” non significa sopportare, non è un movimento passivo ma attivo, significa per ognuno di noi fare come Gesù: condividere le sofferenze degli altri e così facendo “aiutiamo “ Colui che si è caricato del peso della Croce e di tutti i peccati del mondo a portarne un frammento con Lui.

Certamente come dice l’ enciclica l’ essere umano non è l’ unico essere vivente a vivere questa realtà, presente anche tra gli animali  che per questo vanno tutelati dall’abbandono, dalla violenza inutile e dall’ uccisione ( Papa Francesco che nell’ Enciclica “Laudato sii” dice che “Per causa nostra, migliaia di specie non daranno gloria a Dio con la loro esistenza né potranno comunicarci il proprio messaggio. Non ne abbiamo il diritto.”)

Negli animali stessi possiamo riscontrare una sofferenza fisica ed anche psicologica come accade ad esempio negli animali domestici quando vengono sottoposti a torture o quando muore il padrone o quando animali selvatici sono in cattività sino a far sviluppare una branca della psicologia degli animali, ma non vivono ad esempio la sofferenza spirituale di cui parleremo dopo che è propria dell’ uomo e per questo pur dovendo grande rispetto a questi amici dell’ uomo , non può mai superare quello per le persone.

Ha detto Papa Francesco, pur schierato dalla parte del creato e attirandosi le ire degli animalisti che : “”Accade che a volte si provi questo sentimento ( di compassione ) verso gli animali, e si rimanga indifferenti davanti alle sofferenze dei fratelli”.

Su questo dobbiamo riflettere anche sul fatto che molte coppie giovani fanno più progetti per la razza di cane da acquistare che per un loro figlio.

Nella Genesi quando avviene la creazione dell’uomo e della donna : «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31) ci viene insegnato che ogni essere umano è creato per amore, fatto ad immagine e somiglianza di Dio (cfr Gen 1,26).

Questa affermazione ci mostra l’immensa dignità di ogni persona umana, che «non è soltanto qualche cosa, ma qualcuno…capace di entrare in comunione con altre persone» Giovanni Paolo II, parlando della sessualità.

Per lenire il dolore fisico la medicina ha fatto enormi passi avanti nella ricerca e nella legislazione (con la legge approvata il 9 marzo 2010 in via definitiva alla Camera per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore  in modo più semplificato, creando anche una cultura di maggiore sensibilità al dolore fisico, sconfitto in molti casi, ma ancora non del tutto come in alcune patologie, risolvendo efficacemente ma non sempre molti dolori fisici che affliggono le persone e anche nell’ambito psicologico si è mossa in modo alcune volte efficace , altre volte in modo parziale, altre in modo settario ma , certamente nell’ambito di quello che viene chiamato nell’ enciclica il « dolore dell’anima »,  dice Giovanni Paolo II:” …La vastità e la multiformità della sofferenza morale non sono certamente minori di quella fisica; al tempo stesso, però, essa sembra quasi meno identificata e meno raggiungibile dalla terapia.”

Naturalmente qui dobbiamo fare un’altra amara riflessione: quest’ ultimo ambito è il più negletto, perché la scienza medica e psicologica spesso lo negano e lo stesso ambito ecclesiale, quando si supera un certo punto sembra arrendersi negando spesso l’ esistenza stessa del Male e quindi tutto ciò che lo può combattere e queste persone si ritrovano spesso sole con la loro sofferenza che ha l’ unico difetto di essere “solo” spirituale.

L’ uomo è un insieme di componenti fisiche, psichiche e spirituali e noi per necessità direi didattiche, forzatamente distinguiamo questi tre ambiti ma  sappiamo che le sofferenze fisiche hanno riflessi anche psicologici ed anche spirituali ed al contrario le sofferenze spirituali esprimono anche una componente psichica e che spesso si riflettono sullo stato dell’intero organismo.

Chi, come molti di voi conosce persone affette da gravi malattie fisiche sa che sono spesso associate ad uno stato depressivo che può anche esprimersi con una minore predisposizione a pregare o a dialogare con il Signore e d’altra parte chi vive una sofferenza spirituale può avere disturbi psichici e organici come patologie somatiche. Non è per tutti così perché vi sono persone che nella loro sofferenza fisica sono state capaci di non arrendersi ma anzi di diventare riferimento per altre persone nella sofferenza. Qualcuno ricorda ad esempio quella donna che era rinchiusa nel “polmone d’acciaio”, Rosanna Benzi ,  che era meta ininterrotta di persone che andavano a cercare conforto e pace. Non una suora e nemmeno una credente.

Ha passato 29 anni dentro il cosiddetto polmone d’acciaio per un virus che aveva determinato una forma rara di poliomielite a 12 anni.

In un’ intervista diceva: “Io non cambierei la mia vita con quella degli altri. Il dolore non lo amo, nel dolore non mi ci crogiuolo…il fatto di sapere che non c’ è una cura non mi mette in crisi di disperazione. Mi sono adeguata alla mia nuova realtà…mi è venuto il vizio di vivere, che poi è il titolo del libro che ho scritto.” Commentava Primo Levi: “L’effetto della sventura è imprevedibile: ciascuno di noi possiede riserve che nessuno conosce, neppure lui stesso. Tu ne hai attinto una sapienza che sorprende: hai imparato a cercare soddisfazione nelle cose che hai, non in quelle che ti mancano; hai sperimentato che tutte le esperienze, anche le più dure, possono arricchire, e sei diventata ricca”.

Se questa persona , pur non credente, si fosse fermata al dolore della sua esistenza ed alla depressione per quanto stava vivendo, la vita in lei si sarebbe spenta, invece ci ha mostrato come l’amore non ha confini al punto che persone “sane” hanno trovato conforto in una persona obbligata a vivere la sua vita peggio che da carcerata.

Così , per quanto riguarda la sofferenza spirituale, Madre Teresa di Calcutta che dalla fine degli anni ’40 fino alla morte, avvenuta nel 1997,  visse un lunghissimo momento di buio e di sensazione di lontananza da Dio.

Diceva la nostra Santa: “Dentro di me è tutto gelido. E’ soltanto la Fede cieca che mi trasporta, perché in verità tutto è oscurità per me. Finché al Signore piacerà, io realmente non conto“. E’ il “deserto dell’anima” frequente anche nella vita di altri grandi Santi (Teresa d’Avila, Giovanni della Croce, Teresa di Lisieux): e diceva ancora: “Ho cominciato ad amare la mia oscurità perchè credo sia una parte, una piccolissima parte, dell’oscurità e della sofferenza in cui visse Gesù sulla terraPossiamo diventare grandissimi santi se solo lo vogliamo.

Questi due esempi parlano a tutti noi ma parlano anche a coloro a cui ci rivolgiamo come intercessori : facciamoci anche noi matita di Dio, senza ripiegarci su noi stessi quando siamo nel deserto e nella sofferenza.

La realtà della sofferenza provoca l’interrogativo le cui risposte sono diverse.

Per un cristiano potremo dire con le parole di Giovanni Paolo II nell’ enciclica, che “L’uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene. Si potrebbe dire che l’uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa”

Il bene che manca potrebbe essere quello della salute, della compagnia di altre persone (solitudine) , del bene materiale che determina fame e povertà, dell’ assenza di un rapporto con il Signore, realtà che appartiene non solo ai credenti ma  è insita al genere umano che poi la cerca e la trova in molti modi che a volte sono antitetici come la magia etc.

Come abbiamo detto all’ inizio, Adamo ed Eva  prima del peccato originale, non vivevano né le malattie né la paura, né l’angoscia, né avevano quel carico di esperienze dolorose dell‘infanzia e della vita successiva se non dopo aver commesso il peccato originale.

San Nicola Cabasillas, scrive  a questo proposito :”Il giorno in cui Adamo, consegnandosi allo spirito maligno, si è allontanato dal suo Maestro, la sua anima ha perduto la salute ed il benessere…

Prima di allora i nostri progenitori vivevano circondati dalla grazia di Dio, in uno stato di permanente godimento spirituale perché vivevano in contemplazione di Dio ed in dialogo con Lui, in sostanza come dice Sant’ Atanasio di Alessandria l’ uomo viveva “la sua vera vita”, cioè quella che partecipava al bene, quella  per la quale era stato creato. Per questo motivo come ci dice il Catechismo della Chiesa Cattolica: “ “Ignorare che l’uomo ha una natura ferita, incline al male è causa di gravi errori …” (CCC nn. 405, 407 e 408).

Prosegue l’ enciclica dicendo che “All’interno di ogni singola sofferenza provata dall’uomo e, parimenti, alla base dell’intero mondo delle sofferenze appare inevitabilmente l’interrogativo: perché?” e perché proprio a me che non ho fatto nulla di male mentre invece chi è autore di tanti atti delittuosi non subisce alcuna condizione di sofferenza ?

Nella Sacra Scrittura troviamo un vasto elenco di situazioni variamente dolorose per l’uomo, iniziando dall’Antico Testamento dove la sofferenza proviene dalla morte dei propri figli e, specialmente, la morte del figlio primogenito ed unico, e poi anche: la mancanza di prole, la nostalgia per la patria, la persecuzione e l’ostilità dell’ambiente, lo scherno e la derisione per il sofferente , la solitudine e l’abbandono; ed ancora: i rimorsi di coscienza, la difficoltà di capire perché i cattivi prosperano e i giusti soffrono etc.

Questo stesso interrogativo se lo pongono gli amici di Giobbe in quel bellissimo libro dell’ Antico Testamento che sembra mettere in diretta correlazione il male compiuto con la sofferenza patita, anche se non tutto l’ Antico Testamento esprime questo concetto poiché nel libro dei Maccabei troviamo un passo che getta una luce nuova: “Questi castighi non vengono per la distruzione, ma per la correzione del nostro popolo » (2 Macc. 6, 12).

Quindi si cominciano a delineare due aspetti della sofferenza: quello di essere provocata dai propri errori e quindi in sostanza dal proprio peccato e quella di correggere, di far cambiare rotta.

C’è una sofferenza e quindi una croce che nasce dal peccato, e questo è sotto i nostri occhi, basta pensare alle sofferenze di un dipendente dalla droga o dalla magia ma specie in passato, non solo nell’ AT ma tuttora radicata in molte persone, è la convinzione che alcune situazioni dipendano solo dal peccato individuale o sociale.

Ricordate la storia: “ Dio permise questa prova per provocazione di Satana. Questi, infatti, aveva contestato davanti al Signore la giustizia di Giobbe: « Forse che Giobbe teme Dio per nulla? … Tu hai benedetto il lavoro delle sue mani, e il suo bestiame abbonda sulla terra. Ma stendi un poco la mano e tocca quanto ha, e vedrai come ti benedirà in faccia ».

Commenta Giovanni Paolo II nell’ ‘enciclica che stiamo commentando:

E’ nota la storia di questo uomo giusto, il quale senza nessuna colpa da parte sua viene provato da innumerevoli sofferenze. Egli perde i beni, i figli e le figlie, ed infine viene egli stesso colpito da una grave malattia. In quest’orribile situazione si presentano nella sua casa i tre vecchi conoscenti, i quali – ognuno con diverse parole – cercano di convincerlo che, poiché è stato colpito da una così molteplice e terribile sofferenza, egli deve aver commesso una qualche colpa grave. La sofferenza – essi dicono – colpisce infatti sempre l’uomo come pena per un reato; viene mandata da Dio assolutamente giustoAl male morale del peccato corrisponde la punizione …Dio è giudice giusto, il quale premia il bene e punisce il male… un amico di Giobbe: « Per quanto io ho visto, chi coltiva iniquità, chi semina affanni, li raccoglie »(24)… Giobbe…è consapevole di non aver meritato una tale punizione, anzi espone il bene che ha fatto nella sua vita. Alla fine Dio stesso rimprovera gli amici di Giobbe per le loro accuse e riconosce che Giobbe non è colpevole. La sua è la sofferenza di un innocente; deve essere accettata come un mistero, che l’uomo non è in grado di penetrare fino in fondo con la sua intelligenza.”

E alcuni biblisti dicono che il libro di Giobbe è l’anticipazione di quello che accadrà nel Nuovo Testamento a Gesù è come dice l’ enciclica “un annuncio della passione di Cristo”. E in questo senso dice l’ enciclica: “Se è vero che la sofferenza ha un senso come punizione, quando è legata alla colpa, non è vero, invece, che ogni sofferenza sia conseguenza della colpa ed abbia carattere di punizione.”

Questa convinzione è presente nella domanda dei discepoli di Gesù, di fronte al “cieco nato” : “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?” (Gv 9,2). La risposta del Signore rapporta invece la sofferenza umana con la “gloria” di Dio: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio

 C’è invece una sofferenza ( che possiamo chiamare tranquillamente croce) che, come quella di Dio, nasce dalla solidarietà con chi soffre. E’ la sofferenza abbracciata dal Verbo di Dio, fatto uomo (Eb 2,10), ed è quella che abbraccia ogni discepolo del Signore e della Chiesa.

Gesù fa suo il “perché” di Giobbe e degli altri sofferenti, quando sulla CROCE si rivolge al Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15,34; Sal 22,2). Nel suo grido disperato però, c’è l’ obbedienza in Colui dal quale si sente abbandonato (Lc 23,46).

La salvezza non è nella sofferenza, ( Chiesa dolorifica) ma nell’OBBEDIENZA al Padre e nell’AMORE ai fratelli.

Dice l’ enciclica: “La sofferenza deve servire alla conversione, cioè alla ricostruzione del bene nel soggetto, che può riconoscere la misericordia divina in questa chiamata alla penitenza. La penitenza ha come scopo di superare il male.. e di consolidare il bene sia in lui stesso, sia nei rapporti con gli altri e, soprattutto, con Dio.”

Dice Benedetto XVI: “Convertirsi significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.”

In questo modo ci si avvicina al bene e ci allontana dal male che è causa di sofferenza.

Nella sofferenza si nasconde una particolare forza che avvicina interiormente l’uomo a Gesù, una particolare grazia. Ad essa debbono la loro profonda conversione molti Santi, come ad esempio San Francesco d’Assisi, Sant’Ignazio di Loyola, ecc.

Di una tale conversione non è solo il fatto che l’uomo scopre il senso salvifico della sofferenza, ma soprattutto che nella sofferenza diventa un uomo completamente nuovo. Egli trova quasi una nuova misura di tutta la propria vita e della propria vocazione.

Dice l’ enciclica:” Allorché questo corpo è profondamente malato, totalmente inabile e l’uomo è quasi incapace di vivere e di agire, tanto più si mettono in evidenza l’interiore maturità e grandezza spirituale, costituendo una commovente lezione per gli uomini sani e normali.”

Ripensate a Rosanna Benzi ma soprattutto all’ autore di questa enciclica negli ultimi mesi della sua malattia.

Nel Nuovo Testamento troviamo una dimensione diversa da quella che chiudeva la ricerca del significato della sofferenza entro i limiti della “giustizia” divina: tu commetti un peccato ed io ti punisco. Qui entra la dimensione della Redenzione , espresse da Gesù  nel colloquio con Nicodemo che  ci svelano il centro stesso dell’azione salvifica di Dio « Dio infatti ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna ».

Quindi c’è una sofferenza , quella di Gesù nella sua passione che è un atto d’amore verso chi vive nella sofferenza ed un atto di obbedienza al Padre, una sofferenza diversa da quella di cui abbiamo parlato sino ad ora : l’essenza della teologia della salvezza, che significa liberazione dal male.

Dio dà il suo Figlio unigenito, affinché l’uomo « non muoia », e il significato di questo « non muoia » viene precisato accuratamente dalle parole successive: « ma abbia la vita eterna ».

L’uomo « muore », quando perde « la vita eterna », ma quando offre la sua vita per gli altri la riacquista.

Se qualcuno ha letto uno degli ultimi libri di Saverio Gaeta: “ Le veggenti” avrà letto di uomini e donne che non sono dedite a pratiche spiritistische ma al contrario lui le chiama “anime vittima che salvano il mondo” come Gesù che si è fatto Agnello sacrificale. Sono persone che si sono offerte al Signore e hanno preso su di sé le drammatiche sofferenze che altrimenti sarebbero già toccate all’ intera umanità.

Capisco che qualcuno può avere dubbi se appartengono al Signore o all’ antico nemico ma intanto diciamo subito che non aggiunge nulla alla nostra fede e ci aiuta a comprendere meglio questo il Catechismo della Chiesa cattolica:”

Lungo i secoli ci sono state delle rivelazioni chiamate « private », alcune delle quali sono state riconosciute dall’autorità della Chiesa. Esse non appartengono tuttavia al deposito della fede. Il loro ruolo non è quello di « migliorare » o di « completare » la Rivelazione definitiva di Cristo, ma di aiutare a viverla più pienamente in una determinata epoca storica. Guidato dal Magistero della Chiesa, il senso dei fedeli sa discernere e accogliere ciò che in queste rivelazioni costituisce un appello autentico di Cristo o dei suoi santi alla Chiesa. La fede cristiana non può accettare « rivelazioni » che pretendono di superare o correggere la Rivelazione di cui Cristo è il compimento. È il caso di alcune religioni non cristiane ed anche di alcune recenti sette che si fondano su tali « rivelazioni ». (CCC n. 67)

Alla beata portoghese Alexandrina Maria Da Costa, paralizzata dall’ età di 14 anni per essersi gettata dalla finestra per sfuggire ad una violenza carnale, le appare Gesù e le dice “Ti faccio soffrire perché tu mi possa salvare molte anime. Tu sei il parafulmine della giustizia divina. Per mezzo tuo e di altre anime non sono caduti tremendi castighi.”

 Sono donne come Faustina Kowalska, Therese Neumann, Natuzza Evolo ed altre la cui statura ecclesiale è ormai riconosciuta ma anche San Pio che con la sua abituale ironia a chi gli chiedeva “ ma voi soffrite perché avete avuto l’ impudenza di offrirvi vittima non solo per la Chiesa ma per tutta l’umanità” lui rispondeva: “Eh beh , uno scemo ci voleva pure”.

Teresa Neumann, era la mistica tedesca vissuta tra il 1898 ed il 1962 che a partire dal 1926, si nutriva solo dell’ ostia consacrata, al punto che i nazisti non le assegnarono neanche la tessera annonaria. Lei dice al suo biografo: “ Il peccato commesso deve essere punito ma se un altro vuole accettare la sua pena, la giustizia viene rispettata..Il dolore può non piacere, non piace neanche a me. Nessun essere vivente ama soffrire e io sono un essere vivente come gli altri. Amo però il volere del Signore e quando lui mi manda una sofferenza, l’accetto perché Lui lo vuole

Dalla sofferenza vissuta su questa terra, il Signore non ci ha mai affrancato né illuso che non ci potesse essere, ma la sofferenza definitiva, la perdita della vita eterna, l’essere respinti da Dio, la dannazione è questa che il Signore è venuto a sconfiggere, rispettando sempre la libertà della persona.

La missione di Gesù consiste nel vincere il peccato con la sua obbedienza fino alla morte, e la morte con la sua risurrezione. E anche se la vittoria sul peccato e sulla morte, riportata da Cristo con la sua Croce e risurrezione, non abolisce le sofferenze temporali dalla vita umana, né libera dalla sofferenza l’intera esistenza umana, tuttavia getta una luce nuova, che è la luce della salvezza.

Gesù si è avvicinato dall’ inizio della sua missione alla sofferenza. « Passò facendo del bene » , e questo suo operare riguardava, prima di tutto, i sofferenti e coloro che attendevano aiuto. Egli guariva gli ammalati, consolava gli afflitti, nutriva gli affamati, liberava gli uomini dalla sordità, dalla cecità, dalla lebbra, dal demonio e da diverse minorazioni fisiche, tre volte restituì ai morti la vita. Era sensibile a ogni umana sofferenza, sia a quella del corpo che a quella dell’anima. E al tempo stesso annunciava la buona novella, evangelizzava.

Ecco che l’ intercessione è anche evangelizzazione.

Egli, benché innocente, si addossa le sofferenze di tutti gli uomini, perché si addossa i peccati di tutti. « Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di tutti »: tutto il peccato dell’uomo nella sua estensione e profondità diventa la vera causa della sofferenza del Redentore. L’Uomo dei dolori di quella profezia è veramente quell’« Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo ». Dirà San Paolo: « Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore ».

La sofferenza ha raggiunto il suo culmine nella passione di Cristo ed è entrata in una dimensione completamente nuova: è stata legata a quell’amore che crea il bene ricavandolo anche dal male, La Croce diventa una sorgente, dalla quale sgorgano fiumi d’acqua viva , l’albero della vita.

Nel nostro corpo, e questo beninteso non aggiunge nulla alla nostra fede, addirittura qualcuno dice che è una suggestione abbiamo una glicoproteina, la laminina è che rappresenta una parte importante, biologicamente attiva, che durante gli stadi embrionali, insieme ad altre molecole, contribuisce all’adesione delle cellule in una struttura sferica e nella vita adulta svolge funzioni principalmente adesive, favorendo il congiungimento delle cellule epiteliali con la lamina basale.

La laminina è composta da tre grosse catene polipeptidiche A, B1 e B2; le catene B si avvolgono attorno alla catena A, formando una struttura a forma di croce con un braccio lungo e tre braccia corte.

Qualcuno l’ha chiamata la “firma di Dio”, ma credo che la realtà vada analizzata senza eccessi tuttavia non possiamo non notare alcune “coincidenze”.

 A tal proposito, un noto biochimico disse: “La nostra conoscenza della verità è più chiaramente rivelata sulla croce di Cristo, e ciò che tiene il nostro corpo umano insieme (la Laminina), è casuale che abbia la forma proprio di croce? Qualcuno potrebbe dire di sì, ma io penso che sia ancora un altro modo con cui Dio rivela la sua gloria a noi. Penso che Dio è colui che tiene insieme tutte le cose, i nostri corpi, il nostro mondo e le nostre vite.

Coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo sono anche chiamati, mediante le loro proprie sofferenze, a prender parte alla gloria. Paolo infatti scrive ai Romani: « Siamo … coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria. Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura, che dovrà essere rivelata in noi » (Rm 8,17-18)

Dice infatti l’ enciclica “La risurrezione di Cristo ha rivelato « la gloria del secolo futuro » e, contemporaneamente, ha confermato « il vanto della Croce »: quella gloria che è contenuta nella sofferenza stessa di Cristo, e quale molte volte si è rispecchiata e si rispecchia nella sofferenza dell’uomo, come espressione della sua spirituale grandezza. Bisogna dare testimonianza di questa gloria non solo ai martiri della fede, ma anche a numerosi altri uomini, che a volte, pur senza la fede in Cristo, soffrono e danno la vita per la verità e per una giusta causa. Nelle sofferenze di tutti costoro viene confermata in modo particolare la grande dignità dell’uomo.”

In questa concezione soffrire significa diventare particolarmente suscettibili, deboli ma  particolarmente aperti all’opera della forza salvifica di Dio.

Si può dire che insieme con la passione di Cristo ogni sofferenza umana si è trovata in una nuova situazione.

Ognuno è anche chiamato a partecipare a quella sofferenza ma non in senso dolorifico per amore della sofferenza ma in senso attivo e per questo  può diventare partecipe della sofferenza redentiva di Cristo.

San Paolo parla delle diverse sofferenze e, in particolare, di quelle di cui diventavano partecipi i primi cristiani « a causa di Gesù ». Queste sofferenze permettono ai destinatari di quella Lettera di partecipare all’opera della redenzione, compiuta mediante le sofferenze e la morte del Redentore. Perciò, l’Apostolo scriverà anche nella seconda Lettera ai Corinzi: « Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione” 2Cor1,5

Nella Lettera ai Romani l’apostolo Paolo si pronuncia ancora più ampiamente sul tema di questo « nascere della forza nella debolezza », di questo ritemprarsi spirituale dell’uomo in mezzo alle prove e alle tribolazioni, che è la speciale vocazione di coloro che sono partecipi delle sofferenze di Cristo: « Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato ». Rm 5, 3-5

E’, innanzitutto, consolante – come è evangelicamente e storicamente esatto – notare che a fianco di Gesù, c’è sempre Maria la sua Madre Santissima. In realtà, fin dal colloquio avuto con l’angelo, inizia la sua missione di madre e la conferma in proposito le venne assai presto dall’annuncio  del vecchio Simeone che parlò di una spada tanto acuta da trapassarle l’anima.

Quel suo ascendere al Calvario, quel suo « stare » ai piedi della Croce insieme col discepolo prediletto furono una partecipazione del tutto speciale alla morte redentrice del Figlio ed alla Sua sofferenza.

“In lei le numerose ed intense sofferenze si assommarono in una tale connessione e concatenazione che, se furono prova della sua fede incrollabile, furono altresì un contributo alla redenzione di tutti” (Salvifici doloris, 25).

Insieme con Maria, Madre di Cristo, che stava sotto la Croce, ci fermiamo accanto a tutte le croci dell’uomo d’oggi… Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!” (Salvifici doloris, 31).

Gesù non nasconde ai propri discepoli  la sofferenza. Molto chiaramente diceva: « Se qualcuno vuol venire dietro a me, … prenda la sua croce ogni giorno »,  e diceva anche che avrebbero incontrato molteplici persecuzioni, ciò che – come si sa – è avvenuto non solo nei primi secoli della vita della Chiesa, ma si è avverato e si avvera in diversi periodi della storia e in differenti luoghi della terra, anche ai nostri tempi.

« Vi ho dette queste cose, perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia: io ho vinto il mondo! » Gv 16,33

Dice Paolo nella Lettera ai Colossesi: « Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi . “ Col 1,24

Fonte di letizia diventa il superamento del senso d’inutilità della sofferenza, sensazione che a volte è radicata molto fortemente nell’umana sofferenza.

Questa non solo consuma l’uomo dentro se stesso, ma sembra renderlo un peso per gli altri. L’uomo si sente condannato a ricevere aiuto ed assistenza dagli altri e, in pari tempo, sembra a se stesso inutile.

La scoperta del senso salvifico della sofferenza in unione con Cristo trasforma questa sensazione deprimente. La fede nella partecipazione alle sofferenze di Cristo porta in sé la certezza interiore che l’uomo sofferente « completa quello che manca ai patimenti di Cristo »; che nella dimensione spirituale dell’opera della redenzione serve, come Cristo, alla salvezza dei suoi fratelli e sorelle. Al Vangelo della sofferenza ed in particolare per chi è intercessore  appartiene la parabola del buon Samaritano.

Buon Samaritano è ogni uomo, che si ferma accanto alla sofferenza di un altro uomo, l’uomo che « si commuove » per la disgrazia del prossimo. Se Gesù, sottolinea questa commozione, vuol dire che essa è importante per tutto il nostro atteggiamento di fronte alla sofferenza altrui. Bisogna, dunque, coltivare in sé questa sensibilità del cuore, che testimonia la compassione verso un sofferente.

Dice l’ enciclica che quest’attività assume, nel corso dei secoli, forme istituzionali organizzate e costituisce un campo di lavoro nelle rispettive professioni. Quanto è « da buon samaritano » la professione del medico, o dell’infermiera, o altre simili!

La parabola del Buon Samaritano è narrata dal solo evangelista Luca che – possiamo dire – nel suo Vangelo sviluppa molto volentieri il tema della misericordia, al punto che possiamo anche soprannominarlo “l’evangelista della misericordia” e che San Paolo chiama il “caro medico” e quindi è inevitabile che spettasse proprio a lui riportare questa parabola.

In ragione del contenuto « evangelico », racchiuso in essa, siamo inclini a pensare qui piuttosto ad una vocazione, che non semplicemente ad una professione.

Un dottore della legge rivolge a Gesù la domanda fondamentale: «Maestro, che devo fare per avere la vita eterna?». E dopo che Gesù gli ha risposto come sappiamo, gli domanda ancora “chi è il mio prossimo?»”. Noi facciamo molto presto a rispondere, dicendo che tutte le persone sono “nostro prossimo”. Ma Gesù, invece di rispondere, narra la parabola.

Gesù non dà la risposta ma modifica la domanda, dicendo: «Chi di quei tre è stato prossimo del malcapitato?». Cioè (e qui entriamo nel cuore dell’insegnamento di Gesù): il “prossimo” non è “l’altro”, quello che sta di fronte a me; il “prossimo” sono io, nella misura in cui “mi approssimo”, cioè “mi avvicino” all’altro.

Il Figlio di Dio, per salvare l’umanità immersa nel peccato ha voluto avvicinarsi a noi fino al punto di farsi uomo come noi! Questa è la vera origine del concetto, e della realtà di “prossimo”.

Approssimarsi significa farsi vicini.

La parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle componenti essenziali della cultura e della civiltà umana.

L’uomo di oggi, dice l’ Enciclica si ferma con sempre maggiore attenzione e perspicacia accanto alle sofferenze del prossimo, cerca di comprenderle e di prevenirle sempre più esattamente. Egli possiede anche una sempre maggiore capacità e specializzazione in questo settore. Guardando a tutto questo, possiamo dire che la parabola del Samaritano del Vangelo è diventata una delle componenti essenziali della cultura morale e della civiltà universalmente umana.

L’eloquenza della parabola del buon Samaritano, come anche di tutto il Vangelo, è in particolare questa: l’uomo deve sentirsi come chiamato in prima persona a testimoniare l’amore nella sofferenza. Le istituzioni sono molto importanti ed indispensabili; tuttavia, nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l’amore umano, l’iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro. Questo si riferisce alle sofferenze fisiche, ma vale ancora di più se si tratta delle molteplici sofferenze morali, e quando, prima di tutto, a soffrire è l’anima.

Commentando questa parabola Papa Francesco , dice :” per caso un sacerdote scendeva per quella medesima strada – un degno sacerdote, proprio con la talare, bene, bravissimo! Ha visto e ha guardato: “Arrivo tardi a Messa”, e se n’è andato oltre. Non aveva sentito la voce di Dio…Il sacerdote …è arrivato in tempo per la Santa Messa, e tutti i fedeli contenti” e il levita commenta Papa Francesco: “Se io lo prendo o se io mi avvicino, forse sarà morto, e domani devo andare dal giudice e dare la testimonianza

“..Perché il sacerdote fuggì da Dio? Perché il levita fuggì da Dio? Perché avevano il cuore chiuso, e quando tu hai il cuore chiuso, non puoi sentire la voce di Dio. Invece, un samaritano che era in viaggio “vide e ne ebbe compassione”: aveva il cuore aperto, era umano. E l’umanità lo avvicinò».

Il samaritano «si è lasciato scrivere la vita da Dio: ha cambiato tutto, quella sera, perché il Signore gli ha avvicinato la persona di questo povero uomo, ferito, malamente ferito, buttato sulla strada. Lasciamo scrivere la vita, la nostra vita, da Dio o vogliamo scriverla noi?

E questo ci parla della docilità: siamo docili alla Parola di Dio?”

Sono tre persone ma sono anche una componente di ognuno di noi: possiamo essere anche noi laici quel sacerdote frettoloso, quando presi dai mille impegni del Rinnovamento non ci curiamo del fratello o quando nei pressi ad esempio di una lite per strada o di un incidente, preferiamo fare come Don Abbondio, per evitare di essere coinvolti: non si sa mai.

Il samaritano non bada alle barriere di culto, di nazionalità che lo separavano da quell’uomo, lo disinfetta con del vino, lo massaggia con dell’olio, lo solleva sulla propria cavalcatura per portarlo fino alla prima locanda e l’indomani lascia un po’ di soldi al locandiere perché possa continuare ad assistere quell’uomo.

La sofferenza non si identifica in alcun modo con un atteggiamento di passività. E’ tutto il contrario. Il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza. Cristo stesso in questo campo è soprattutto attivo. In questo modo, egli realizza il programma messianico della sua missione, secondo le parole del profeta Isaia: « Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore »

 Cristo, dice sempre l’ enciclica, compie in modo sovrabbondante questo programma messianico della sua missione: egli passa « beneficando , ed il bene delle sue opere ha assunto rilievo soprattutto di fronte all’umana sofferenza. La parabola del buon Samaritano è in profonda armonia col comportamento di Cristo stesso.

Questa parabola entrerà, infine, per il suo contenuto essenziale, in quelle sconvolgenti parole sul giudizio finale, che Matteo ha annotato nel suo Vangelo: « Venite, benedetti del Padre mio; ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi ».

Ai giusti che chiedono quando mai abbiano fatta proprio a lui tutto questo, il Figlio dell’Uomo risponderà: « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » . La sentenza opposta toccherà a coloro che si sono comportati diversamente: « Ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me »

Diceva Papa Francesco due anni fa in occasione della festa dell’ esaltazione della Santa Croce (24) il 13 settembre:” Perché è stata necessaria la Croce? A causa della gravità del male che ci teneva schiavi. La Croce di Gesù esprime tutt’e due le cose: tutta la forza negativa del male, e tutta la mite onnipotenza della misericordia di Dio. La Croce sembra decretare il fallimento di Gesù, ma in realtà segna la sua vittoria…Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno, è sconfitta la morte, ci è donata la vita, restituita la speranza. Questo è importante: per mezzo della Croce di Cristo ci è restituita la speranza. La Croce di Gesù è la nostra unica vera speranza! Ecco perché la Chiesa “esalta” la santa Croce, ed ecco perché noi cristiani benediciamo con il segno della croce.”

La croce è la prova d’amore di Dio per noi. Prendere la croce significa allora far proprio il peso che Cristo ha nel cuore, per le persone che vivono in questo mondo.

A Gesù interessa la vita ed il destino di ogni singola persona.

Ciascuno ha la propria croce da portare cioè la propria chiamata individuale ad essere testimone inviato nel proprio mondo relazionale.

Scopri quale è il compito che Dio ha designato per te e che prevede i tuoi doni e talenti naturali su cui si posa e dona lo Spirito.